martedì 12 gennaio 2016

IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI MICHELANGELO TERZA PARTE

LA GRANE VENDETTA
EDIZIONO L'EROICA 1941
(DI ETTORE COZZANO)
TERZA PARTE  


  La grande vendetta

MICHELANGELO
 Nel 1534, arrivando in Roma, Leonardo ha l'anima gravata di tutti insieme questi dolori e queste tragedie, e a Roma gliene moltiplica ad un tratto il peso con lo spettacolo della sua desolazione. La città in cui egli ha vissuto e ha creato prima negli anni della giovinezza e poi in quelli della verilità più raggiante, la città che allora vibrava di gioie, di amore della bellezza e d'orgoglio nel fasto della corte pontificia e nell'ebraicità della grandezza pagana che risorgeva. La metropoli che, quando si scopriva una scultura antica (il Torso del Belvedere, e il Laocoonte) s'imbandierava tutta e squillava a gloria da tutte le campane, portando le statue in processione tra il delirio del popolo, - adesso percossa, franta, macchiata e sconvolta dal saccheggio del '27, ancora tutta gocciante di sangue, tremante di sacrilegio, avvilita di pentimento e di vergogna, si raumiliava cupa e mutilata in un' atmosfera di rigorismo dogmatico, di gelido sospetto religioso, di misticismo apocalittico. Nell'anima di Michelangelo, tra i riflessi di quella disperazione, lampeggiavano le visioni del Savonarola e di Dante, che echeggiavano le loro inventive minaccianti, alle folle impazienti nell'eresia e nel peccato, l'incendio, lo sterminio e l'ignominia, che gli pareva daver davanti già attuati. S'aggiungeva a questa angoscia la maliconia di tutte le morti che avevano disboscato la mirabile selva dei geni, di principi, di prelati che era la Roma di quei tempi ormai mitici: morto Giulio II, morto Leone X, morto Bramante, morto Leonardo, morto Raffaello...
A L'ULTIMA CENA 1495-1498 SANTA
 MARIA delle GRAZIE, MILANO, ITALIA


BATTAGLIA di ANGHIARI GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE, ITALIA
In questo stato d'animo Michelangelo ha concepito e s'è messo a dipingere il Giudizio. Anche allora, come per la Volta, s'è chiuso nella più fiera e orgogliosa solitudine; non ha voluto nè consigli, nè suggerimenti, nè aiuti, nè osservazioni: ha cavato tutto dalle sue mani, dal suo cervello, dal suo cuore, dalle potenze istintive e dalla dura disciplina della sua vita, dalle sue forze fisiche e dall'intuizione del suo genio. E la malvagità dei mediocri se nè allora vendicata accanendosi intorno a lui in un vero furore. Gli eredi Della Rovere, irritati che non avesse finito la tomba del loro grande Pontefice, lo straziavano delle più perfide accuse; i colleghi e i libellisti ripudiati e cacciati dal tempio della sua vocazione, schiumavano alle porte di umiliazione e d'ira. Egli si serra anche più in sè; lavora notte e giorno fino a disfarsi; s'arrampica sù e giù e salta da destra a sinistra (ed è tra i sessanta e i settant'anni) per l'impalcatura verticale che affronta in duecento metri quadrati della parete; e intanto si difende come può dai nemici, in un vero e proprio corpo a corpo (" non restava giornalmente di essere alle mani " con i suoi torturatori, - ci narra il Vasari -): pare uno di quei muratori delle cattedrali duecentesche, che lavorano, in mano la cazzuola e la spada al fianco, mentre la guerra tempestava alle mura della città. E nelle poche lettere di questo periodo di carcere volontario e di febbre creativa; di tanto in tanto gli scoppia dal cuore un grido che pare uno sbocco di sangue: "...sono oggi dì lapidato come se avessi crocifixso Cristo"; "...è pare ch'è mi abbi arricchitto et ch'io abbi rubato l'altare, e fanno un gran romore"; "...son pagato col dirmi ch'i'sia ladro e usuraio, da ignoranti che non erano al mondo"; "...a difendermi da tristi, bisogna qualche volta diventar pazzo come vedete"; "...e chi mi ha tolto tutta la mia giovinezza et l'onore et la roba  mi chiama ladro". Il suo dolore arriva a tal punto ch'egli scaglierebbe in un fosso come uno straccio lurido la sua stessa arte, che pure la sola ragione della sua vita: "meglio m'era ne' primi anni che io mi fussi messo a fare zolfanelli, ch'io non sarei in tanta passione". E, a un certo punto, persino idee omicide balenavano nella sua voce incupita dallo strazio: "et io saprei la via da fargli star cheti, ma non ci sono buono". Le sue mani sono nate per creare e non per uccidere.

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