martedì 19 gennaio 2016

BEATRICE E ISABELLA D'ESTE






Ludovico Sforza, detto il Moro per il colore scuro della sua carnagione e dei capelli, aveva sposato Beatrice d'Este, una delle più graziose, colte ed elegati dame del suo tempo




  Beatrice e Isabella
d'Este (terza ed ultima parte)







 Isabella non ha nulla da temere benchè non più giovane a Parigi - dove si è recata proprio allora e di dove le donne dei Gonzaga le scrivono descrivendole tutte le magnificienze della cognata, - quando passa per le vie, tutti si voltano a guardarla, e chi l'accompagna assicura che non la credono madre, ma sorella del suo figlio Federico. Già prossima alla sessantina, Isabella ancora dà consigli in fatto di moda e sotto la sua direzione Caterina Cybo e la duchessa di Camerino si fanno fare i loro abiti. Ma, come non vi è magnificienza di vestire senza gioielli, è incredibile la quantità di gioie che facevano parte dei corredi principeschi nel Rinascimento. Basti pensare che, sopra una veste di Ippolita Sforza, v'erano tanto oro e gemme per il valore di cinquemila ducati  

Il famoso dipinto di Leonardo, la dama con  l'ermellino, nel quale si riconosce la figura di Cecilia Gallerini, Senese, di nobile famiglia. Fu una delle amanti di Ludovico Sforza ( detto il Moro )

(da tre a quattro milioni di euro) e Isabella d'Este faceva attaccare cinquecento bottoni d'oro! La Marchesina di Mantova, però, non si accontenta di gemme ricche per se stessa,  essa le vuole con teste in opera d'arte e, ai suoi orafi maestri di cesello, suggerisce il modo di legarle e financo i disegni delle incisioni. Prediligie gli smeraldi e possiede il più bello dell'epoca, ma il poeta Trissino la descrive in veste di velluto nero carico di mirabili fibbie d'oro con, al sommo della fronte, un "fiammeggiante" rubino; perle e rubini l'adornano nel ritratto del Tiziano ma, più preziosa di ogni gioiello e a lei più cara, è la mirabile medaglia con l'effige sua giovanile, contornata dal nome Isabella in lettere di diamanti, eseguita da Gian Cristoforo Lombardo. Tanto bisogno di lusso e sete di bellezza dovevano purtroppo metterla nell'occasione di fare debiti, perchè tutti, antiquari, orefici, mediatori, le offrivano cose bellissime, di reputati artisti e lei non resisteva mai alla tentazione di acquistarle. Quando l'oreficie Pagano di Venezia deve avere dai Gonzaga ottomila ducati, il marchese gli cede una possessione, col patto che, al pagamento dei debiti, gli venga restituita. Per riscattarla più presto, Isabella scrive al Doge di Venezia. E tuttavia gli storici dicono che non fu cattiva amministratrice e che, nonostante l'eccessiva libertà di spese, essa non mancava di una certa misura e accortezza che non avevano altre principesse del suo tempo, e che , nelle frequenti asse  nze del marito, seppe difendere lo stato. E poi, quelle gioie a lei tanto care, con quale bellissimo slancio non è essa capace di offrirle al marito perchè faccia fronte alle spese del cardinalato di Sigismondo Gonzaga! E con quanta generosità per soccorrere le famiglie degli appestati, nel 1528, ella non esita a impegnare una delle sue collane! In Isabella d'Este si comprende veramente, insommo grado, quelle contraddizioni proprie dei signori del Rinascimento, per cui, in un'affascinate contrasto di frivolezze e di cultura, ella visse "virilmente operosa e femminilmente gaia".






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