lunedì 11 gennaio 2016

IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI MICHELANGELO SECONDA PARTE#ELFORNESO

 IL GIUDIZIO UNIVERSALE
EDIZIONI L'EROICA 1941
 ( DI ETTORE COZZANO )
SECONDA PARTE


MICHELANGELO
Quando Leonardo, tornato penitente ai piedi del Papa che trionfava dai Bentivoglio in Bologna, doveva soggiacere al prepotente desiderio della Rovere d'essere esaltato in una  colossale statua di bronzo, per due anni dovette sopportare nella sua stessa casa e nel laboratorio la canizia dei suoi aiuti, che lo impacciavano nella vita e nel lavoro lo derubavano, e l'avevano ridotto alla disperazione con ignobili diffamazioni. Quando già era intento al sepolcro di Giulio II, ma, avendo raccolto una smisurata ricchezza di marmi sulla piazza di S.Pietro, aveva dovuto lasciarli incustoditi, glieli avevano saccheggiati senza pietà. Quando contro la sua volontà, sempre tesa a questo monumento funebre che accentrava tutti i sogni della sua vita, egli s'era dovuto piegare ad altri lavori per i papi che si succedevano e come sempre più tirannesca sete di gloria lo incalzavano di commissioni, fù trascinato dagli eredi di Giulio II in un vero ciclone di accuse, di calunnie e di insulti, che i suoi emuli e denigratori propagavano aggravandoli, e facendolo sanguinare. Quando, dopo la caduta della repubblica di Firenze, il duca Alessandro era rientrato in città, più potente, e particolarmente imbestialito contro Michelangelo che egli odiava a morte, l'artista aveva dovuto nascondersi come una belva braccata, e solo con il salvacondotto del Papa, e per la commissione delle tombe medicee, aveva potuto evitare d'essere ucciso; ma lavorava rintanato nella sacrestia di San Lorenzo, assediata dall'odio e dal livore, ruggendo di rivolta morale e politica, e divorandosi in una tale sofferenza e febbre, che il Papa stesso dovette minacciargli la scomunica se non si fosse preso un poco di cura della sua salute. E le sue opere? Certo la Pietà, il Davide, il Mosè, le tombe Medicee, la Volta, il Giudizio, la Cupola, bastano alla gloria più sterminata, e mettono il Buonarroti al di sopra di tutti gli artisti che mai furono. Tuttavia l'Ercole gigante che egli scolpì da giovane in Firenze si è perduto con quasi tutte le opere di quell'età; quando ebbe la commissione delle sedici statue dai Piccolomini di Siena, e si buttò al lavoro con l'angosciosa brama di creare che lo incendiava ad ogni possibilità di levare in piedi un popolo di giganti, arrivò a scolpire soltanto quattro statue, e che di quelle non si sà più nulla; quando l'Arte della Lana gli commette i Dodici Apostoli egli inizia l'opera in un delirio di grandezza, ma deve interrompere a metà della prima statua, e non ci resta che l'abbozzo del San Matteo, il quale, pur uscito appena dal masso con parte del volto, il torso poderoso è respirante, un braccio e una gamba, è di una terribilità impressionante; quando ha già netta e viva la visione delle quaranta statue che popoleranno la montagna di sculture che dovrebbe essere la tomba di Giulio II, e già taluna ne ha sbozzata, e tutte per quasi che le palpi dentro di sè, la rovina piomba sulla sua concezione, e di quaranta capolavori non ci restano che il Mosè e gli abbozzi degli Schiavi e del Genio Vittorioso, e l'ansia di tutto quel vuoto che non si potrà mai più colmare. Quando a Bologna con tanto strazio fisico, fonde il colossale Giulio II i Bentivoglio schiantano la statua a furor di popolo; quando Leone X gli ordina la facciata di San Lorenzo, ed egli l'ha già concepita con tale compiutezza ed esattezza che può promettere di farne la più bella facciata che abbia il mondo, e (come per la tomba di Giulio II a San Pietro) ha già trascinato in un convoglio di barche i marmi dalle Apuane sul pratello verde davanti alla chiesa, la commissione gli viene disdetta, ed egli resta col suo sogno maciullato tra i marmi inutili...
Persino nella sua grande vittoria Michelangelo è uno sconfitto; la Volta della Sistina non è per lui che la riproduzione in pittura della pienezza pulsante e rotante dei colossi di pietra che aveva già nel sangue, ed egli rugge di dolore nel martirio dell'affresco di cui non ha pratica, per doverli così soltanto non fare, ma ritrarre i chiaroscuri. A non limitarsi che alle tragedie della sua vita anteriore al Giudizio; perchè dopo è anche peggio: come quando gli ridipingono a stracci e sberleffi il Giudizio; o quando la cricca degli architetti avidi e gelosi gli si serra addosso per sbalzarlo giù dalla direzione di San Pietro; o quando spezza egli stesso la Pietà Rondanini che gli si è guastata per un pelo. Il suo patimento è riassunto nel grado angoscioso e tremendo della lettera al fratello Giovanni Simone, con la quale non si

LA BELLA FERRONNIERE
1490-1495 CIRCA
OLIO SU TAVOLA 63X45
MUSEO DEL LOUVRE 
PARIGI

DONNA CON ERMELLINO
1488-1490 CIRCA
OLIO SU TAVOLA 54,8X40,3
MUSEO CZARTORYSKI
POLONIA








può paragonare che l'esplosione del dolore e dell'onta di Dante che afferma  la sua miseria di bandito in volta per tutte le terre d'Italia. Michelangelo ha saputo che quel fratello, che è la pecora nera della casa e gli ha già date tante tribulazioni, ha schiaffeggiato suo padre. La notizia lo coglie, mentre, tutto stroncato allinsù e con gli occhi stravolti, si travaglia a dipingere la Volta. Abbandona i pennelli, afferra la penna, e scrive all'impudente un'aspra lettera di rimprovero. La suggella. Ma in quell'atto egli ripensando a tutto il suo calvario, sentendosi tornare alla gola d'un tratto le sofferenze di tutta la vita, in un urlo, strappa i sigilli, e aggiunge un poscritto: "...ancora due versi; e quando è ckio son ito da dodici anni in qua, tapinando per tutta Italia; sopportato ogni vergogna; patito ogni stento; lacerato el corpo mio in ogni fatica; messa la vita propria a mille pericoli, solo per aiutar la casa mia; e ora ckio ho cominciato a rilevarla un poco, tu solo voglia essere quello che scompiglia e rovina in una ora quel che i'ho fatto in tanti anni e con tanta fatica; al corpo di Cristo che non sarà vero! Che io sono periscompigliare diecimila tue pari quando e' bisognerà". Poi la sua ira si placa in un'immensa pietà per tutta la follia umana; ed egli chiede rivolgendosi all'opera, satura di tristezza: "or sia savio, e non tentar chi à altra passione".















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