martedì 29 dicembre 2015

(PRIMA PARTE) IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI MICHELANGELO DI ETTORE COZZANO ( L'EROICA )





IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI MICHELANGELO 
 (DI ETTORE COZZANO 1941 L'EROICA)


 IL DRAMMA DI MICHELANGELO



PAPA CLEMENTE VII, NASCE A GIULIO ZANOBI
DI GIULIANO DE' MEDICI (FIRENZE, 26MAGGIO 1478
- ROMA, 25 SETTEMBRE 1534).
 ESPONENTE DI PUNTA DELLA FAMIGLIA DEI MEDICI, 
FU IL 219° PAPA DELLA CHIESA CATTOLICA DAL 1523, 
FINO ALLA SUA MORTE.
FIGLIO NATURALE, POI LEGITTIMATO DI GIULIO DE' MEDICI,
UCCISO NELLA CONGIURA DEI PALAZZI UN MESE PRIMA DELLA SUA NASCITA, LA MADRE SI CHIAMAVA FIORETTA, FORSE FIGLIA DI ANTONIO GORINI.
DA GIOVANE FU AFFIDATO DALLO ZIO LORENZO IL MAGNIFICO,
ALLE CURE DI ANTONIO DA SANGALLO.
DOPO POCO LO ZIO, LORENZO IL MAGNIFICO, LO PRESE DIRETTAMENTE SOTTO 
LA SUA PROTEZIONE.



Quando Michelangelo rientra in Roma, per invito di
MICHELANGELO NASCE A CAPRESE IN PROVINCIA DI AREZZO, IL 6 MARZO DEL 1475- MUORE IL 18 FEBBRAIO DEL 1564 A ROMA. SCULTORE, PITTORE, ARCHITETTO E POETA, PROTAGONISTA DEL RINASCIMENTO ITALIANO. LE OPERE PIÙ FAMOSE, LA PIETÀ, IL DAVID, MOSÈ, IL GIUDIZIO UNIVERSALE  E MOLTE ALTRE
LE OPERE QUI SOPRA RIPRODOTTE, SONO OPERE AD OLIO SU TAVOLA AUTORE # ELFORNESO PRATICAMENTE CHI SCRIVE. VOLEVO SOLO SOTTOLINEARE UNA COSA, IL TESTO CHE LEGGERETE, PUBBLICATO NEL 1941  DALL'EROICA , IN 200 TIRATURE QUASI TUTTE DISTRUTTE, DA' UN'INTERPRETAZIONE NUOVA  AL GIUDIZIO UNIVERSALE (ETTORE COZZANO NASCE A LA SPEZIA IL 3 GENNAIO 1884-MILANO 22 GIUGNO 1971, EDITORE, SCRITTOREE SAGGISTA, NEL 1911 FONDA E DIRIGE L'EROICA, INNOVATIVA RIVISTA ARTISTICA E DI TECNICA, CON IL PROPOSITO DI VALORIZZARE LE FORZE CREATIVE NAZIONALI, OCCUPANDOSI DI OGNI ASPETTO DELL'ARTE). BUONA LETTURA.
 Clemente VII dei Medici, e già con l'idea, suggeritagli da questo Papa, di compiere la decorazione della Cappella Sistina con un giudizio Universale, nella parete di fondo, e con una Caduta di Luciferi nella parete d'ingresso, egli sta per toccare i sessant'anni, ed è come una quercia dura e contorta, screpolata dalla violenza del suo crescere, mutilata e crepacciante di fulmini. La sua vita che, a guardarla a distanza e nell'insieme e a commisurarla con le grandi opere, sembra tutta un trionfo,- non è, ad analizzarla, che un seguito di naufragi e un fiume di miserie e di dolori. L'uomo che ha osato tenere alta la fronte davanti a pontefici più potenti di imperatori romani (perché sovrani su tutta la terra , e armati anche d'uno scettro spirituale la cui potenza non ebbe nulla di simile nell'antichità ) è il più incatenato e il più tortuoso degli artisti che si conoscono. Tutti l'hanno fatto soffrire, coloro che gli volevano bene coloro che gli volevano male, che hanno oppresso e quelli che hanno fatto esplodere il suo genio: il padre, i fratelli, compagni d'arte, i discepoli, i committenti e i mecenati, i critici e gli ammiratori: e su tutti egli si è torturato da se stesso per la sua implacabile coscienza d'uomo e per lo smisurato ideale ch'egli ebbe per l'arte, e a cui certo nessuna delle sue creazioni gli parve vicina, sebbene avesse la consapevolezza intera della sovranità di ciascuna, sulle opere dei suoi contemporanei e non di questi soli. L'invidia, la gelosia, il rancore l'ambizione e l'orgoglio ferito, l'odio politico, interesse materiale, l'anno assediato per tutta la vita come una muta di cagne, dilaniandolo. Adolescente, quando si provava alla scultura nell'orto dei Medici in Firenze, ha preso da quel suo compagno di studi inetto e vanaglorioso, Torrigiani, un tal pugno in faccia, che gli ha spezzato la radice del naso, e l'ha sconciato per tutta la vita. Fatto uomo, quan d'ebbe compiuto il David, e trasportavano il marmo enorme e pesante con macchine e fatiche al suo piedistallo del Palazzo della Signoria, una ciurma di Fiorentini dovette essere cacciata in prigione, perché aveva tentato di spezzare la statua a legnate. Quando, nel pieno della maturità, lavorava a Roma alla tomba di Giulio II, e fuggì, in un soprassalto di collera giusta, perché il Papa d'improvviso aveva rifiutato di riceverlo, la villania che l'aveva sospinto alla fuga non era che l'ultima goccia; ma il calice traboccava già d'amarezza e di spavento; ed egli stesso confessa che, se non fosse scappato, sarebbe stata pronta al più presto la sua tomba che quella di Giulio II. Quando tornato penitente ai piedi del Papa che trionfava dei  Bentivoglio, a Bologna.  


lunedì 28 dicembre 2015

IL RINASCIMENTO IN ITALIA LO STATO COME OPERA D'ARTE#ELFORNESO

Carlo il Temerario e il terzo figlio legittimo maschio  sopravvissuto del duca di Borgogna, alla nascita nel 1433 le fu conferito il titolo di conte, per la morte l'anno prima nel 1432 dei suoi due fratelli maggiori. Carlo sposò il 19 maggio 1440 a Blois, Caterina di Francia (1428-1446) figlia di Carlo II e Maria D'Angiò, al momento del matrimonio aveva 7 anni contro i 12 della consorte.
VI-PARETE
CARLO IL TEMERARIO
VERSO IL XV SECOLO


Un carattere come quello di Carlo il Temerario, che con impeto cieco si ostina in imprese private di qualsiasi utilità, per lui, gli  Svizzeri non erano altro che poveri contadini, diceva, se anche li avessero uccisi tutti quanti, sarebbe sempre stata una magra soddisfazione per i Borgogna, che per avventura morivano in tale lotta, anche quando il duca giunse a possedere la Svizzera senza contrasto alcuno, le sue rendite annue non aumentarono nemmeno di 5000 ducati.
Ciò che in Carlo vi era di medioevale, le sue fantasie e identità cavalleresche, non  era più comprensibile da lungo tempo in Italia.
Si venne poi a sapere che prendeva a schiaffi i suoi comandanti e tuttavia li teneva al suo servizio, maltrattava le sue truppe, per punirle di una sconfitta sofferta, in presenza di tutto l'esercito sparlava dei consiglieri più intimi.
Tutti i diplomatici del mezzogiorno visto il comportamento lo davano per spacciato, ma Luigi XI, che nella politica superò gli stessi principi Italiani nel loro stesso stile e che si confessava sopra ogni cosa ammiratore di Francesco Sforza, rimase molto al di sotto, colpa della sua volgare natura, in fatto di civiltà.
Una strana combinazione di bene e di male è il carattere che prevaleva in questi stati Italiani del XV secolo. La personalità del principe è sì colta, molto significativa, adatta al suo ruolo e per i compiti che si propone.
I TERRITORI DI CARLO IL TEMERARIO
La base fondamentale della signoria è e rimane illegittima, quasi una maledizione, che non può cancellarsi. Il popolo si chiedeva  se gli imperatori fossero mai  stati  utili a qualche cosa, e anche se fossero stati utili non dovevano far spopolare i tiranni, questo era il ragionamento di una moltitudine di ignari. Gli Imperatori non hanno mai sanzionato in Italia le tirannidi sorte, ma si limitavano semplicemente a richiami.
La comparsa e la dimora di Carlo in Italia è la più vergognosa maschera politica che vi sia stata, in quel modo i  Visconti lo portarono in giro per i loro territori e alla fine lo scortarono  al confine, per scambiare con denaro la sua merce cioè i suoi privilegi.







sabato 26 dicembre 2015

LA CIVILTA' DEL RINASCIMENTO LO STATO COME OPERA D'ARTE ( IV PARTE ) #ELFORNESO



Beatrice di Tenda,si risposò nel 1412 con il duca di Milano Filippo Maria Visconti. Beatrice nasce a Casale Monferrato nel 1372, muore a Binasco il 13 settembre del 1418

Giovanni Maria Visconti, Duca di Milano. Figlio di  Gian Galeazzo Visconti e di Caterina Visconti. Nel 1408 sposò Anna Malatesta, figlia Andrea Malatesta, signori di Cesena, non ebbero figli. Giovanni Maria fu celebre per la sfrenata passione della caccia. Presto si annoiò ad uccidere animali, quindi addestrò i suoi mastini a sbranare le persone. Per le sue battute di caccia umane  si fece consegnare dai tribunali di Milano tutti i nomi dei condannati. Ma presto i condannati finirono. E sotto le fauci dei suoi mastini finirono anche uomini  illustri di Milano, tra cui si dice anche suoi parenti. Nel 1409 vietò al popolo affamato di pronunciare la parola pace, pena la forca. Giovanni Maria venne assassinato nel 1412 davanti alla chiesa di San Gottardo in Corte.
































   VISCONTI SIGNORI DI MILANO


Giovanni Maria divenne celebre per i suoi cani, ma non sono più cani da caccia,  ma bensì mastini addestrati a sbranare esseri umani vivi,  e dei quali ci furono tramandati anche i nomi, come orsi dell' imperatore Valentino I. Nel maggio 1409, mentre durava ancora la guerra, il popolo affamato gridò al suo passaggio  pace! pace!, lui scatenò su di loro le sue soldatesche, che che scannarono oltre duecento persone.
 Alla fine alcuni congiurati,
giovaronsi del momento, approfittando che il gran condottiero Facino  Cane, giaceva gravemente infermo a Pavia , assassinarono Giovanni Maria, ma il morente Facino fece giurare lo stesso giorno i suoi ufficiali di sostenere l'erede Filippo Maria, propose che la moglie, Beatrice di Tendasi sposasse, dopo la sua morte, con Filippo Maria, cosa che si verificò poco dopo. Di Filippo Maria  parleremo più avanti. In tempi come questi che Carlo di Rienza, tenta di costituire sull'entusiasmo della cadente Roma, una nuova Signoria che si estende a tutta l'Italia, appare subito agli  occhi dei principi un





povero pazzo destinato all'insuccesso. Nel XV secolo la tirannide mostra già molto diverso. Molti dei piccoli ed anche alcuni dei grandi tiranni del secolo precedente, come Della Scala e i Carrara, sono già decaduti, i più potenti, arricchiti delle spoglie altrui, si  sono riordinati all'interno in modo caratteristico, Napoli riceve dalle nuove dinastie aragonesi  un impulso più energetico e vigoroso. Rilevante  per  questo secolo è

lo sforzo dei condottieri per crearsi uno stato indipendente, anzi un reame, ciò che costituisce un passo ulteriore sulla via dei fatti compiuti, un premio elevato all'ingenio e alla scelleratezza. I piccoli tiranni per assicurarsi un sostegno si mettono ora al sevizio degli stati maggiori e si fanno loro condottieri, il che procura loro danaro e impunità per parecchi misfatti, e alcune volte ingrandimento dei loro territori. Tutti poi, messi insieme, grandi e piccoli hanno bisogno di forze maggiori, debbono procedere più circospetti e guardinghi e astenersi dalle crudeltà troppo immani. In generale osare che  quel tanto di male che si dimostrasse necessario per riuscire nei loro scopi e questo viene loro perdonato, anche da chi non ne restava offeso. Della pietà religiosa, che tornò tanto vattagiosa  agli altri principi leggittimati d'Occidente.




giovedì 17 dicembre 2015

IL FANTASTICO RINASCIMENTO ITALIANO IL GIORGIONE E TIZIANO #ELFORNESO





GIORGIONE E IL TIZIANO


 Di Giorgione da Castelfranco si sa pochissimo. Nasce a Castelfranco Veneto intorno al 1478 e muore di peste a Venezia nel 1510, poco più che trentenne.
Forse studia con Giovanni Bellini e forse conosce Leonardo quando passa da Venezia nel 1500, ma sicuramente la sua non è un'istruzine artistica canonica. Anzichè andare a  bottega, frequenta i circoli umanistici veneziani e lo studio padovano.
La sua è dunque un'interpretazione colta  e meditata dell'Umanesimo veneziano, che fa perno sul rapporto tra uomo e natura ponendo l'esperienza diretta della realtà come unico strumento di conoscenza, e quindi rivalutando il ruolo dei sensi contro le strutture intellettuali. Un atteggiamento filosofico che può nascere dal particolare contesto socioculturale della Venezia di inizio secolo, una città ricca, colta e raffinata, che ha mire pragmatiche - in particolare il progressivo estendersi del suo campo d'azione commerciale - e non sta vivendo nè le turbolenze politiche di Firenze nè il sogno imperiale di Roma. Il suo declino economico causato dall'apertura delle rotte atlantiche e dal riposizionamento europeo dei centri di potere economico non si è ancora profilato all'orizzonte, e intanto la città lagunare gode della propria vivace prosperità. Sviluppa così un atteggiamento filosofico e artistico che coniuga il classicismo sensuale dell'arte ellenistica, collezionata dall'aristocrazia, e un atteggiamento verso la natura, la luce e il colore assolutamente innovativo.
Il Giorgione, in particolare, è forse il primo pittore che abbandona l'ossessione rinascimentale per il disegno preparatorio e lavora direttamente con il colore (come dimostra anche l'analisi dei suoi quadri ai raggi x). La sua pittura verrà infatti definita "tonale" da "tono", che è il grado di luminosità di un colore, cioè la sua capacità di riflettere la luce. Nel concreto, questo significa che al riempimento di un disegno si preferisce un accordo armonioso di zone di colore in stretto rapporto fra loro, fuse dalla luce pomeridiana.
Delle poche opere sicuramente attribuibili al Giorgione, uno stupendo esempio di questa impostazione innovativa è la Madonna in trono fra san Liberale e san Francesco, del 1505, che coniuga il tema classico della Madonna in trono con un'attenzione nuova verso il paesaggio. L'accattivante semplicità visiva e insieme il complesso sistema di significati sono una costante di tutte le opere dell'artista, così come l'importanza dell'elemento naturalistico. Lo possiamo riscontrare in altre due opere celeberrime, I tre filosofi, in cui i personaggi sono immersi nella natura, e la Tempesta, in cui la natura stessa prende il sopravvento sulle figure.
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 Queste opere testimoniano anche due altri problemi che la critica incontra col Giorgione: l'interpretazione e l'attribuzione. I tre filosofi, per esempio, sono diventati di volta in volta le tre età dell'uomo o le tre epoche della filosofia, le tre fasi dell'esperienza o i tre re Magi. Certo è che ogni composizione è frutto delle riflessioni sul bello, l'amore, la natura, con echi della filosofia antica e della poesia petrarchesca, ma anche delle disqiusizioni con la cerchia di letterati, filosofi e colti committenti che gira intorno al pittore. Quei committenti privati che possono comprare un quadro dal maestro per metterselo in casa, come testimoniano le dimensioni ridotte delle tele giorgionesche, che raramente superano il metro d'altezza.
Per quanto rigurda l'attribuzione, è difficile stabilire quanto sia frutto del giovane maestro e quanto del suo geniale allievo, l'enerco "montanaro" (è nato infatti intorno al 1490 a Pieve di Cadore) Tiziano Vecellio, che porta a termine molte opere di Giorgione, sia durante l'apprendistato sia dopo la sua improvvisa morte. Per esempio, nella Venere di Dresda pare che la dea dormiente sia di Giorgione, mentre il paesaggio di Tiziano. Un lavoro a due mani doveva essere anche l'ultima fatica del maestro, gli affreschi per la facciata del Fondaco dei Tedeschi a Venezia. Purtroppo non ne è rimasto quasi nulla, ed è un peccato perchè quest'opera avrebbe potuto essere illuminante sul rapporto tra questi due artisti dal carattere tanto diverso.
Lo vediamo già nei Miracoli di sant'Antonio per la padovana Scuola del Santo (1511). Nell'episodio del marito geloso si racconta di quando sant'Antonio interviene in una lite famigliare che sta per sfociare in un assassinio. Un marito, convinto che la sua innocente moglie lo tradisca, sta infatti per pugnalarla quando il santo la ferma e lo porta a riconoscere il proprio errore. La sequenza, però, è impostata in modo da dare il massimo rilievo al tentato omicidio -l'uomo alza il pugnale sulla donna che tiene ferma per i capelli, mentre lei solleva un braccio per difendersi, un'espressone di terrore disperato sul viso - e da confinare in un angolo dello sfondo di contributo pacificatore del santo. L'intenzione del pittore è quella di suscitare la commozione  l'indignazione dello spettatore calamitandone lo sguardo sull'azione in primo piano, che viene sottolineata visivamente dai colori accesi del vestito bianco e rosso di lui e dal drappeggio stravolto della gonna gialla di lei, ma anche dal braccio alzato, che sembra proseguire la linea diagonale tracciata dal pugnale.
Il successivo L'Amor sacro e l'Amor profano (1515 circa) ritorna alla lezione giorgionesca, alla tranquilla compostezza dei soggetti, ai colori caldi, persino all'ermeticità dei significati. Il titolo è infatti un'invenzione seicentesca, ma il soggetto è stato via via interpretato come la bellezza ornata e quella disadorna, celeste e terrestre, cristiana e pagana. E sull'ossimoro, cioè sulla compresenza dei contrari, è giocato tutto il dipinto, come il sarcofago simbolo di morte che è diventato una fontana simbolo di vita.
La carriera di Tiziano decolla quando l'artista realizza l'Assunta per la chiesa veneziana di Santa Maria Gloriosa dei Frari, tra il 1516 e il 1518. Per questa tavola a olio alta quasi sette metri, da posizionare come pala dell'altare maggiore, Tiziano abbandona l'intimismo giogionesco a favore di una macchina scenica paragonabile a quella della Trasfigurazione di Raffaello. Il dipinto di Raffaello è costruito con una sequenza logica che va dall'ossesso guarito allo stupore dei presenti all'apoteosi di Cristo, con razionalità che già prelude, oltre al Classicismo, al Manierismo; nella pala di Tiziano, invee, il miracolo è emotivo e illogico, basti pensare che la nuvola che sostiene la Madonna è un diaframma fisico tra la divinità e i fedeli, tanto concreto da proiettare un cono d'ombra sotto di sè.
Altrettanto forte per impatto visivo è la Sacra conversazione con la famiglia Pesaro, la cosiddetta Pala Pesaro, dipinta tra il 1519 e il 1526 per la famiglia di Jacopo, che ha sconfitto i turchi a Santa Maura. L'impostazione è monumentale, l'intento quello di celebrare la potenza di Venezia , attraverso la vittoriosa impresa di un cittadino illustre, eppure i ritratti dei committenti sono realistici. Tiziano acquisisce col tempo un'enorme fama come ritrattista, tanto che riceve commissioni da tutta Europa. Dipinte, tra i tanti, i duchi di Urbino (ora agli Uffizzi), Carlo V (al Prado) e Francesco I (al Louvre), ma anche il famosissimo ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (1546) e il Ritratto del cardinale Alessandro Farnese.
Nell'evoluzione del suo cammino artistico, Tiziano passa da una vivace orchestrazione del colore, con campi più ampi e distesi di quelli giorgioneschi, a una riflessione intima e drammatica della realtà. L'impatto emotivo è sempre forte, ma si accentua il sentimento. Il Cristo coronato di spine del 1576 è tutto giocato sui bruni e i rossi delle fiamme. Il disegno non è più netto, ma le figure sembrano sciogliersi nel movimento, nella passione. Con Tiziano è infatti impossibile guardare con occhio sereno alla realtà: ciò che succede nel quadro tocca le corde più intime dello spettatore, lo indigna, lo commuove, comunque lo cattura. Ed è questo, più che il suo splendido senso del colore, a dargli gloria nella sua epoca e a farne un pioniere di tutto il periodo successivo.
Via via che lavora, la fama di Tiziano si fa sempre più vasta. Non vuole lasciare Venezia, di cui è il pittore ufficiale, però lavora anche per Ferrara, Padova, Brescia, per i duchi di Urbino e i Gonzaga.
 Nel 1545 è a Roma, ma non vi si ferma: nella sua città vive già nel massimo splendore. I reali di tutta Europa fanno a gara per farsi ritrarre da lui e lo pagano sontuosamente; l'imperatore Carlo V lo nomina conte palatino e fornisce una dote cospicua a sua figlia Lavinia, mentre Enrico III lo visita personalmente.
Quando nel 1576 una nuova ondata di peste ruba l'anziano artista a Venezia, la Repubblica lo fa seppellire con i più alti onori nella chiesa dei Frari, nonostante ci sia una legge che proibisce di seppellire gli appestati nelle chiese. Ma Tiziano non è solo un uomo, è il prestigio della Serenissima personificato.




martedì 15 dicembre 2015

LA CIVILTA' DEL RINASCIMENTO IN ITALIA LO STATO COME OPERA D'ARTE (SECONDA PARTE)#ELFORNESO



 I TIRANNI DEL XIV SECOLO

 Le maggiori e minori tirannidi del secolo XIV sono una prova evidente di come simili esempi non andarono perduti.
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I loro misfatti parlavano chiaramente, e la storia li ha circostanzialmente descritti; ma, come Stati destinati a sostenersi da sè e a contare sopra le proprie forze, organizzati in conformità a queste esigenze, presentano  una particolare importanza.
OLIO SU TAVOLA 40X50 AUTORE #ELFORNESO
Il calcolo freddo ed esatto di tutti i mezzi, di cui allora nessun principe fuori d'Italia aveva nemmeno un'idea, congiunto con una  potenza quasi assoluta  dentro i limiti dello Stato, fece qui uomini e forme politiche affatto speciali.
Il segreto principale del regnare stava, per i tiranni, nel lasciare possibilmente le imposte fissate al principio della sua signoria.


OLIO SU TAVOLA 40X50 AUTORE#ELFORNESO
Tali erano le imposte: un'imposta fondiaria basata sopra un casato; determinati dazi di consumi, e gabelle sulle importazioni ed esportazioni: si aggiungono poi le rendite dei dominii privati della casa regnante. La possibilità di un maggiore gettito era legata soltanto ad un incremento della pubblica proprietà e dal commercio. Di prestiti, quali si vedevano effettuarsi nelle città libere, qui non si parlava neppure: e più volentieri si ricorreva a qualche bene architettato colpo di mano; quando si poteva prevedere che non avrebbe avuto conseguenze, come, per esempio, la destinazione e la spogliazione all'uso affatto orientale, dei supremi magistrati delle finanze. Con queste rendite si cercava di provvedere a tutti i bisogni della piccola corte, alla guardia personale del principe, e ai mercenari assoldati, alle pubbliche costruzioni, nonchè ai buffoni ed agli uomini d'ingegno, che formavano il seguito del regnante. L'illeggittimità, circondata da continui pericoli, isola il tiranno: l'alleanza più onorevole che egli possa stringere, è quella con le intelligenze superiori, senza riguardo alcuno alla loro origine. La libertà dei principi del nord nel secolo XIII si era ristretta ai cavalieri, vale a dire alla nobiltà che serviva e cantava. Non così il tiranno italiano: assetato di gloria e vago di trionfi e di monumenti, egli pregia l'ingegno come tale e se ne giova. Col poeta e coll'erudito si sente sopra un terreno nuovo, e quindi in possesso di un nuovo linguaggio. Universalmente noto sotto questo rapporto è il tiranno di Verona, Can Grande della Scala, il quale negli illustri esuli accoglieva alla sua corte i rappresentanti di tutta Italia. Gli scrittori  se ne mostrarono riconoscenti: Petrarca le cui visite a corte di tale genere trovarono un biasimo così severo, ci dà il tipo ideale di un principe del XIVsecolo. La sua mecenate - il signore di Padova - egli prende molte e grandi cose, ma in modo tale da mostrare di ritenerlo capace di compierle. "Tu non devi essere il padrone, ma il padre dei tuoi sudditi e devi amarli come tuoi figli, anzi come membra del tuo stesso corpo. Armi, guardie e soldati poi tu adoperare contro i nemici; - con i tuoi concittadini deve bastare la sola benevolenza. Ben inteso, io dico i soli cittadini che amano l'ordine costituito; poichè chi ogni giorno và in cerca di mutamenti, è un ribelle, un nemico dello Stato, e contro simile genia una severa giustizia deve avere sempre  il suo corso".  Entrando poi nei particolari si scorge la funzione affatto moderna dell'onnipotenza dello stato: il principe deve avere cura di tutto, restaurare e mantenere le chiese e i pubblici edifici, sorvegliare la pulizia delle strade col desiderio, espresso di passaggio, che si proibisca il giacere dei porci per le strade di Padova, sia perchè la loro vista è in sè spiacevole, sia perchè se ne adombrano i cavalli; prosciugare le paludi, regolare la vendita dei vini e dei grani, ripartire equamente le imposte, soccorrere i poveri e gli infermi e accordare la sua protezione e la sua confidenza agli uomini illustri, perchè questi provvedano alla sua fama dopo la morte. Ma, per quanti possono essere stati i lati luminosi e i meriti personali di taluni fra questi principi, tuttavia già nel XIV secolo riconosceva o almeno presentiva la breve durata e l'effimera sussistenza della maggior parte dei tirannidi. Siccome l'istruzioni politiche di questo genere per loro natura sono destinate a mantenersi tanto più stabilmente, quanto maggiore è l'estensione del loro territorio, così era anche naturale che i principati più potenti fossero sempre proclivi ad inghiottire i più deboli.







LA CIVILTA' DEL RINASCIMENTO IN ITALIA LO STATO COME OPERA D'ARTE( PRIMA PARTE) #ELFORNESO





















 CONDIZIONE POLITICA NEL XIII SECOLO

 La lotta fra i Papi e gli Hohenstauffen finì nel lasciare l'Italia in uno stato politico molto diverso da quello degli altri paesi occidentali.
Mentre in Francia, in Spagna, Inghilterra il sistema feudale era ordinato in modo che, dopo aver percorso lo stadio della sua vita, dovesse  cadere nelle mani della monarchia unitaria; mentre la Germania contribuì a mantenere, almeno esteriormente,  l'unità dell'impero, in Italia invece si era quasi interamente sottratto
alle dipendenze dell'impero stesso.
Gli imperatori del XVI secolo, anche nei casi più favorevoli, non furono più accolti e considerati come supremi signori feudatari, ma solamente come capi di sostegno a potenze già costituite;
e dal canto suo il Papato ricco di personaggi politici d'appoggio, era abbastanza forte da impedire ogni eventuale unificazione del paese ma non da poterne fondare uno esso stesso.
OLIO SU TAVOLA 40X50 AUTORE #ELFORNESO
Tra l'uno e l'altro di questi rivali vi era una moltitudine di aggregazioni politiche -repubbliche-principati- alcune già preesistenti, altre nate da poco, la  cui esistenza era fondata  puramente sul fatto, o sia l'esistenza di quel territorio.Vediamo per la prima volta  l'Europa moderna liberamente abbandonarsi ai suoi impulsi.
Si  ha subito qualcosa di nuovo e di vivo nella storia, si ha lo Stato quelle creazioni di calcolo consapevole, 
 lo Stato come opera d'arte.
 Questa nuova vita si manifesta tanto nelle repubbliche che nei principati in mille modi diversi, determinandone così non solo la politica interma ma anche la politica estera.
L'ordinamento interno degli Stati guidati a forma principesca trovano un modello molto valido nel regno normanno dell'Italia meridionale e della Sicilia, dopo la trasformazione subita per opera  dell'Imperatore Federico II .
Cresciuto in mezzo alle insidie e in prossimità dei Saraceni, si era abituato molto presto a giudicare le cose da un punto di vista obbiettivo, anticipando così  il tipo di uomo moderno sul trono.
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A queste sue qualità bisogna aggiungere la profonda  conoscenza che aveva delle condizioni interne degli Stati saraceni, dalla loro amministrazine e la guerra sostenuta con  i Papi, che obbligò entrambi a mettere in campo tutte le forze e i mezzi a quel tempo disponibili.
Gli ordini di Federico (specialmente del 1231) mirano alla distruzione completa del sistema feudale e alla trasformazione del popolo all'indifferenza, inerme e tassabile.
Centralizzò tutto il potere giudiziario e l'amministrazine in un modo sconosciuto  fino a quel tempo in Occidente.
Nessun ufficio poteva più essere conferito in virtù  di elezioni popolari, la pena, veder devastato il paese e ridotti gli abitanti allo stato servile.
Le imposte, basandosi sopra un ampio catasto e sulle consuetudini maomettane, venivano riscosse con quei modi vessatorii e crudeli, senza i quali, del resto, in Oriente è impossibile estorcere un quattrino ai contribuenti.
Qui non si ha più un popolo ma una moltitudine di sudditti, sottoposti a rigide  leggi, non possono nemmeno, senza appositi permessi, prendere moglie fuori dal paese, nè studiare  all'estero:-l'università di Napoli fu la prima a mettere leggi restrittive agli studenti:-
 quando lo stesso Oriente , in simili materie almeno, lasciava libertà.

Dall'autentico costume mussulmano Federico copiò il sistema di esecitare il commercio per conto proprio in tutto il mar Mediterraneo, riserbandosi,  a discapito del commercio dei suoi sudditi, il monopolio di parecchi generi.
I califfi fatimiti in virtù della loro segreta eretica dottrina erano stati (almeno in principio) abbastanza tolleranti con la religione dei loro sudditi: Federico al contrario corona il suo sistema di governo  con una inquisizione antieretica, che sembra tanto più riprovevole, quando si ammette che lui in costoro abbia inteso perseguitare i partigiani del libero vivere civile.
Per finire Federico si tiene sempre dietro come agenti di polizia o nucleo d'armata contro i nemici esterni, quei Saraceni trapiantati dalla Sicilia a Lucera e a Nocerina, che con  indifferenza sono sordi ai lamenti dei sudditi e alle scomuniche papali.
I sudditi non più abituati alle armi, subirono più tardi, con molta indolenza ed apatia, la rovina di Manfedi e la conquista dell'Angioino;  alla fine questi fecero proprio quel sistema di governo, giovandosene per i loro ulteriori scopi.


venerdì 11 dicembre 2015

IL GRANDE RINASCIMENTO ITALIANO QUINTA PARTE RAFFAELLO SANZIO#ELFORNESO

 Contrariamente al burbero e solitario Michelangelo, Raffaello è ben voluto ed accettato nel mondo romano, nè disegna la femminile compagnia, ci sono varie ipotesi sulle sue amanti, una delle quali sarebbe stata individuata nella dama a seno scoperto oggi conosciuta come la Fornarina.
ACRILICO SU TELA 50X70 AUTORE #ELFORNESO
Raffaello nutre anche altri interessi.
Per esempio, sollecitare Leone X a  smettere il saccheggio della Roma antica (sfruttata come cava  di materiale a costo zero) e a farne un' accurta selezione e catalogazione.
E classico è il suo modo di riprendere lo spirito antico-con le sue architetture, le grottesche, le decorazioni a stucco di certi palazzi, il mosaico per la cupola della Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo-, ma senza il ferreo ortodossismo del classico vero e proprio.
L'artista, studia e coltiva un'altra vena che ammorbidisce e rende il suo classicismo molto frizzante: è quello per gli  effetti teatrali  che sempre più vengono marcati dalla sua pittura nella Madonna di Foligno (1511-1512) con i suoi accessi colorati molto giorgioniani, alla Madonna Sistina (1513-1514) e alla Santa Cecilia (1514), fino alla Trasfigurazione, dalla tanto discussa attribuzine.
L'impostazione teatrale viene enfatizzata nella Trasfiguazione, finita dagli allievi,  dove si vede una zona superiore molto luminosa -con il Cristo che  sale gloriosamente in  cielo- sovrastare la cupola area inferiore, dove gli spettatori del miracolo nel sottolineare l'eccezionalità con gesti esagerati o, appunto, teatrali.
La passione umanistica che Raffaello nutre per il teatro  si esprime concretamente nell'allestimento di alcune scenografie,  come quella per i Suppositi dell'Ariosto nel 1519.

LA BOTTEGA DI RAFFAELLO
 
Raffaello si è sempre circondato di aiutanti e allievi per 
portare avanti tutto il lavoro che gli veniva commissionato.
Ne nasce così una bottega ben organizzata, che continua a produrre 
per qualche anno dopo la morte del maestro.
OLIO SU TELA 100X120 AUTORE #ELFORNE
La maggior impresa collettiva è la decorazione della loggia del Vaticano, una lunga galleria con dodici campate dipinta con scene del  Vecchio Testamento e una con quelle del nuovo, interrotte da una vistosa decorazione a grottesche che riprende il gusto archeologico allora tanto di moda.
Il gruppo lavora molto bene, ma dopo aver ricevuto un duro colpo dalla morte di Raffaello non reagisce al colpo successivo.
Nel 1527 i lanzichenecchi dell'imperatore Carlo V irrompono a Roma, mettendola a ferro e fuoco, mentre Clemente VII dè Medici è chiuso nel castello di Sant'Angelo.Crollano così i sogni di Roma caput mundi,
un vento di guerra investe furioso e devastante l'operosa tranquillità di cantieri e botteghe. Durante la spietata occupazione  tedesca molti artisti crollano psicologicamente: molti impazziscono, altri si chiudono in convento, altri ancora fuggono. La loro visione del mondo non sarà più la stessa.
Fra i collaboratori di bottega di Raffaello, Gulio Romano si  trasferisce a Mantova, Polidoro da Caravaggio inizia un esodo verso  sud  andando prima a Napoli  poi a Messina, Perin del Vaga migra a Genova.
Giulio Romano, al secolo Giulio Pippi, il capo gruppo della bottega, a Roma non farà più ritorno, l'intraprendente artista, che non esitò mai a usare con disinvoltura le sue carte e le sue conoscenze per sottrarre lavoro alla concorrenza migrò verso nord. Insieme a Federico II Gonzaga si occupò del rinnovamento di Mantova. Ridisegna il Mercato del pesce (1535), l'interno del duomo (1535) e il palazzo ducale con lo stupendo Cortile della Cavallerizza (1530). Il suo capolavoro è la residenza di svago della famiglia Gonzaga, Il Palazzo del Tè (terminato intorno al 1535), con la fastosa decorazione ad affresco, a olio e a stucco incentrata su due temi iconografici: le passioni amorose, nel ciclo dedicato alle Storie di Siche, e le virtù di Federico II, terminando nella sala dei giganti, con il celebre affresco dalla Caduta dei titani: l'opera, con la sua potenza drammatica e insieme il suo illusionismo, diventerà un modello di riferimento per il manierismo europeo. Da questa eredità in campo artistico prende le mosse il Palladio, un artista che non si forma a Roma ( anche se ha occasione di visitarla e studiarla accompagnando nei suoi viaggi il famoso umanista Gian Giorgi Trissino, il suo protettore), ma ne rivitalizza la tradizione prima come architetto della nobiltà terriera veneta e poi come architetto ufficiale della Serenissima.





giovedì 10 dicembre 2015

IL GRANDE RINASCIMENTO ITALIANO QUARTA PARTE RAFFAELLO SANZIO#ELFORNESO

OILO SU TELA 70X50 AUTORE #ELFONSO

 Raffaello Sanzio nasce il venerdì santo del 1483 da Giovanni di Sante di Pietro, pittore non  grandioso alla corte di Federico da Montefeltro.
I primi anni Raffaello li trascorre alla corte del duca di Urbino, dove il padre dipinge nello stile di Piero della Francesca e Melozzo da Forlì.
Perde la madre Magia nel 1491 e il padre qualche anno dopo nel 1494.
Nel frattempo è stato a Perugia, nella bottega del Perugino, ambiente molto vivace e attivo, in quanto il maestro pur di incrementare i suoi guadagni accettava  qualunque incarico.
In questo ambiente Raffaello dipinge  e disegna di tutto, molte volte copiando dai suoi compagni di bottega.
OLIO SU TAVOLA 50X40 AUTORE#ELFORNESO
Realizza centinaia di ritratti, che più tardi, da questi attingerà per realizzare i suoi dipinti più famosi. Da questi innumerevoli disegni si deduce da un lato il metodo lavorativo di Raffaello, che consiste nell'analizzare a fondo le possibili alternative del disegno prima di passare alla fase realizzativa, dall'altro il suo interesse per l'armonia, l'equilibrio che per la precisione anatomica che tanto ossessiona i suoi contemporanei toscani. L'artista sin dall'inizio dimostra la capacità di apprendere che caratterizzerà tutta la sua esistenza, quando incontrerà i più grandi artisti del suo tempo, da Leonardo a Michelangelo. Dal Perugino, impara il senso dell'equilibrio compositivo, l'armonia per i colori vivaci e l'accordo delle figure con il paesaggio. Ma presto lo supera: rispetto al maestro le sue immagini sono più potenti e i colori più accesi. La sua prima opera certificata - le altre sono confuse nella sovrabbondanza produttiva della bottega del Perugino- risale al 1500, ed è l'incoronazione del beato Nicola da Tolentino per una chiesa di Città di Castello. Si tratta di una pala d'altare di cui rimangono alcuni frammenti e pochissimi disegni. Poi abbiamo i disegni di preparazione per la partenza di Ennio Silvio Piccolomini al volto del concilio di Basilea, fu commissionato dal Pinturicchio - che realizzerà l'affresco - quando Raffaello ha appena vent'anni. Se confrontiamo le due opere spiccano evidenti le differenze: il disegno è costruito per piani spaziali che spingono l'occhio a muoversi dai cavalieri in primo piano via via sempre più in profondità sul porto e il mare aperto, l'affresco invece è piatto senza prospettiva, più decorativo che realistico o descrittivo. Come paragone è però più ecclatante quello tra due soggetti dipinti nel 1504 dal Perugino e dal suo allievo, lo sposalizio della Vergine. Dopo questa fatica, si chiude la prima tappa esistenziale e artistica di Raffaello e si apre quella successiva: Firenze. Qui si dovrà confrontare con Leonardo e Michelangelo, ma ha tanta voglia di imparare e quindi non cerca polemiche con i due grandi maestri, infatti, si contrappone con il Tondo Dono alla Vergine e a Sant'Anna con Bambino e San Giovanni di Leonardo, Raffaello studia il michelangiolesco Tondo Taddei, lo ribalta come un'immagine speculare e ne ricava la così detta Madonna Bridgewater, serena e dolcissima; così come la Sacra Famiglia Canigiani (1507). Un'annotazione curiosa è che la dolcissima Madonna di Raffaello, tanto voluta e tanto amata dai committenti del cinquecento, tuttora incontra un'enorme successo di pubblico: basti pensare alle innumerevoli esecuzioni della Madonna del cardellino, che sono spesso al posto dei crocifissi sopra i letti, poi due angioletti hai piedi della Madonna Sistina, che sottoforma di pannello sono ormai diventati oggetti d'arredo molto alla moda. Un confronto con l'opera leonardesca si può istituire attraverso il parallelo tra la Gioconda e il ritratto di Maddalena Doni, eseguito qualche anno dopo nel (1506) commissionato da Angelo Doni, colui che aveva ordinato il Tondo omonimo a Michelangelo. Le due donne sono nella stessa posizione, leggermente di sbieco con la mano destra sulla sinistra, ma mentre il ritratto leonardesco è molto sfumato e avvolgente che unisce la figura in  primo piano allo sfondo con un paesaggio primitivo, nel ritratto di Raffaello si vede una nobildonna fiorentina, vestita sfarzosamente con un'espressione altera e sul viso dei lineamenti morbidi, e anche i colori con la loro freschezza e trasparenza, sono molto distanti da quelli leonardeschi.
OLIO SU TAVOLA 70X100 AUTORE#ELFONESO
La sfida tra Leonardo, Michelangelo e Raffaello ha ripercussioni su tutto l'ambiente artistico fiorentino e non solo. Botticelli non riceve più commissioni, il Perugino viene criticato come un'artista che propone e ripropone sempre gli stessi modelli, Filippino Lippi  e Piero di Cosimo - i pochi rimasti della precedente generazione - non hanno più lavoro. D'altra parte, la fama dei tre grandi è arrivata anche a Roma, e la signoria fiorentina esce sconfitta dalla concorrenza francese e soprattutto romana. Impossibile opporsi al ricchissimo e mecenatissimo Giulio II della Rovere, che chiama a sè i più grandi artisti del periodo tra cui Michelangelo, Andrea Sansovino nel 1505, Raffaello nel 1508. Mentre avvia i lavori della cappella Sistina, il Papa mette in cantiere un'altro grandioso progetto: un nuovo appartamento in Vaticano. Questo Pontefice irrascibile e deciso, più soldato che intellettuale non sopportava di vivere nell'appartamento di chi lo aveva preceduto (se si esclude la breve parentesi del vecchio Pio III ), il discusso Alessandro VI Borgia. Certo, ci sono gli splendidi affreschi del Pinturicchio, ma il problema è facilmente superabile: lui si procurerà degli affreschi ancora più belli. Convoca i migliori del momento, Lorenzo Lotto, il Bramantino e il Sodoma, ma poi cambia idea e affida il lavoro a un giovane ragazzo molto promettente: Raffaello. Il risultato è superiore alle aspettative, il Sanzio è un attento e sensibile interprete del proprio tempo e coglie e riflette i fermenti prima di chiunque altro.








venerdì 4 dicembre 2015

IL LINGUAGGIO DEL COLORE ATTRAVESO LA MUSICA #ELFORNESO

ACRILICO SU TELA 2015 MISURE 100X70
AUTORE #ELFORNESO
L'OPERA SOTTO 
MISURA 120X50
ANNO 2015







Quando ci si  deve servire della musica
  Si ascoltano brani musicali opportunamente scelti, introdotta qualche volta durante le fasi di pittura con  l'intento di portare una nota armonica o ritmica. Prima di intraprendere graficamente e coloristicamente un brano musicale è opportuno creare un anello di congiunzione tra musica e pittura, scegliendo dalla morfologia musicale quella terminologia che possa ricorrere nel linguaggio artistico, sia per definire o descrivere il contenuto grafico e coloristico di un lavoro eseguito e anche per porre in evidenza il valore di un'opera d'arte. Le principali espressioni musicali che possono trovare corrispondenza di significato artistico sono contenute nella seguente tabella.

VALORE MUSICALE                                                          
 ritmo musicale: con la melodia e l'armonia, è
uno dei fondamenti del linguaggio musicale, in 
quando la verità, l'interesse,  l'efficenza espressiva
di un pensiero musicale, dipendono, per lo più, 
dalla distribuzione degli elementi sonori nella succes_
sione del tempo.
VALORE DI COLORE
 diremmo che in un'opera esiste ritmo di colore, 
quando la verità, l'interesse e l'efficacia cromatica
che rende espressiva l'opera, sono frutto della
ritmica collocazione dei colori.

VALORE MUSICALE
vibrazione semplice: si hanno quando un
corpo sonoro in vibrazione, si accosta
ad un altro corpo capace di vibrare con la stessa frequenza;
quest'ultima vibrerà eccitato dalle vibrazioni
del primo.
VALORE DI COLORE
diremmo che due colori o toni di colori accostati, 
sono in vibrazione simpatica, quando non si annullano
vicendevolmente, ma tutti e due
(toni e colori)
vibrano della stessa forza,
esempio: un rosso ed un verde, vibrano della stessa eccitazione.
 
 VALORE MUSICALE
scala musicale: indica una successione graduale,
di suoni conseguenti 
VALORE DI COLORE
avremmo una scala cromatica, quando 
in diversi toni o colori sono accordati in crescendo
o in decrescendo.
Se si passa da un colore puro
il bianco, tutti i colori intermedi,
derivanti formeranno la scala cromatica.






martedì 1 dicembre 2015

IL FANTASTICO RINASCIMENTO ITALIANO TERZA PARTE IL GRANDE MICHELANGELO #ELFORNESO

Olio 40x50 #elforneso 2008









Michelangelo Buonarroti nasce nel 1475 a Caprese, vicino ad Arezzo, dal podestà locale, Ludovico. La sua è un'antica famiglia fiorentina che preferirebbe fornire al rampollo un educazione umanistica anzichè assecondarne la passione per l'arte ma, dopo interminabili discussioni, le doti del ragazzo gli procurano finalmente il permesso di andare a Firenze per entrare nella bottega del Ghirlandaio. Anche  se questo, però, è un ambiente che và stretto al giovane Buonarroti, che dall'anno successivo, il 1489, passa a frequentare il Giardino medico di S.Marco. Qui un'anzino seguace di Donatello, Bertoldo di Giovanni, gli fà studiare le sculture antiche lì conservate e gli fà fare le sue prime prove artistiche. Come racconta il Vasari, Michelangelo stà finendo di copiare un vecchio fauno che ride, quando passa Lorenzo il Magnifico che si ferma per osservare la bravura del giovane scultore e poi scambia con lui qualche battuta. Scherza sul fatto che solo un ragazzo può ritrarre un vecchio con tutti i denti. Il signore di Firenze non fà in tempo ad andare che Michelangelo stà già togliendo un dente al fauno, con tanto di gengiva affossata nel punto di uscita della radice. Poi si mette ad aspettare. Trascorre qualche giorno, ed ecco ricomparire Lorenzo. L'uomo vede il fauno sdentato e ride, ma è rimasto colpito dall'entusiasmo e dalla bravura di quel quindicenne. Poco dopo lo introdurrà nel proprio palazzo ricco di preziose collezioni e nella sua cerchia, tra filosofi e letterati come il Poliziano, che daranno a Michelangelo quell'impronta culturale e religiosa riconoscibile in tutta la sua successiva produzione artistica. In questo periodo il ragazzo gira per le strade e le chiese munito di cartella da disegno, penne e gessi per copiare i capolavori del passato. Schizza due figure dell'Assunzione al cielo di San Giovanni Evangelista di Giotto in Santa Croce, copia dal Tributo di Masaccio nella chiesa del Carmine, studia i sarcofagi tardo romani e le opere di Leonardo da Vinci è curioso di tutto e camminando per Firenze incappa anche nelle infuocate prediche del Savonarola, il riformatore domenicano che entro qualche anno conoscerà le fiamme del rogo. Appartiene a questo periodo la prima opera arrivata sino a noi, la Madonna della Scala, che dal punto di vista formale è interessante per la ripresa dello "stiacciato" donatelliano che fà quasi sparire il rilievo; sul piano contenutistico il bassorilievo segna la comparsa di un tema che ritornerà più volte nell'opera di Michelangelo, quello della Vergine sibillina che guarda lontano, nel futuro del Bambino. E' possibile che l'artista abbia tratto spunto proprio dalle prediche di Girolomo Savonarola. " La Vergine era illuminata più che alcun altra creatura (eccetto l'anima di Cristo). Credi tu che ella non sapesse tutto la passione di Cristo a parte a parte?" Leggiamo nelle sue prediche sopra Amos e Zaccaria. E sempre qui c'è il significato della scala, "la quale significa la croce di Cristo, che è una scala che ci conduce in paradiso. E gli angeli ascendenti e discendenti la croce di Cristo, per venire in adiuto a che vuole salire in Paradiso, discendono per aiutare chi sale". In effetti, la scala del bassorilievo, non suggerisce la profondità dello spazio ne la concretezza di una scala reale, ma sembra un astrazione, e i punti potrebbero benissimo essere angeli apteri cioè senza ali. Dopo questa Madonna quasi evanescente (ma che già contiene i segni dell'evoluzione artistica futura, come le mani grandi della Vergine o il braccio del bambino torto dietro la schiena), Michelangelo si immerge nell'impetuosa Cataoromachia, con il suo groviglio di corpi nudi che emergono così prepotentemente dalla pietra che sembrano lottare con la materia stessa che ancora li trattiene. Michelangelo è pieno di entusiasmo discute con Poliziano, si appassiona a rendere con efficacia tutti quei nudi maschili, quando si abbatte su Firenze la notizia che Lorenzo è morto. Il giovane artista lascia il palazzo medico e torna angosciato e depresso dal padre.  
Olio su tavola anno 2008
misura 40x50
autore #ELFORNESO
Ma reagisce subito, compera un pezzo di marmo e vi scolpisce un grade Ercole oggi scomparso. Poco dopo và nel convento di  Santo Spirito studiando l'anatomia. Si dice che, come ringraziamento scolpisce un insolito crocifisso di legno, ma ancora oggi l'attribuzione è incerta. Nel frattempo il clima di Firenze si stà irrigidendo tanto che il Buonarroti si reca a Venezia e dopo a Bologna, si ferma il tempo di scolpire statue e un angelo reggicandelabro per l'arca di San Domenico nella chiesa omonima. La statua non grande rivela una compatezza cubica che si impone agli osservatori, come colpiscono il panneggio del San Petronio Vescovo per la chiesa di San Procolo, traspare la lezione della scuola ferrarese, e la posa del San Procolo, sempre per l'arca di San Domenico. Il santo viene ritratto con un' originalità che ritroveremo successivamente nel David: l'eroe rappresentato poco prima dell'azione, concentrato per raccogliere le forze e cogliere l'attimo per colpire. Nel 1495 Michelangelo ritorna a Firenze, dove - si dice per scherzo, o forse per sfida - scolpisce un cupido dormiente in foggia antica che verrà portato nel mercato romano e fatto passare per autentico. La statua fà vittime famose, sconvolgendo il normale mercato archeologico, impressionando anche il committente più potente dell'epoca, il Papa. Così, l'anno dopo il giovane Buonarroti và nella città di Alessandro VI, presa dall'entusiasmo per la scoperta della Domus Aurea e per le antichità romane in genere. E' in questo clima che si ascrive il grande Bacco indolente con il satiro che mangia l'uva, statua che venne commissionata ma poi rifiutata dal cardinal Riario per la sua anticonvenzionalità. Dopo questo smacco lo scultore accetta la commissione di un cardinale francese per scolpire una Pietà che doveva essere la più bella scultura marmorea della città. Prendendo molto sul serio questo impegno, di persona si reca a Carrara per scegliere il blocco e vi lavora per alcuni anni, nel frattempo il committente morì e la scultura verrà posta inizialmente sulla sua tomba per poi raggiungere dopo varie tappe la sua collocazione attuale, in San Pietro. Il tema della Madonna che in grembo regge il cadavere del figlio non è usule a quei tempi: deriva dai Vesperbilder tedeschi, dall'immagine del vespro, legata alla celebrazione del venerdì santo e di stampo prettamente mistico. Mistica è anche la geometria della raffigurazione, un triangolo, simbolo del divino che trascende il dolore umano. E ritorna anche il tema della Vergine sibillina: la Madonna tiene in grembo posto sulle ginocchia il figlio come fosse un bambino addormentato ed è giovane come quando lui era un bambino.