giovedì 17 dicembre 2015

IL FANTASTICO RINASCIMENTO ITALIANO IL GIORGIONE E TIZIANO #ELFORNESO





GIORGIONE E IL TIZIANO


 Di Giorgione da Castelfranco si sa pochissimo. Nasce a Castelfranco Veneto intorno al 1478 e muore di peste a Venezia nel 1510, poco più che trentenne.
Forse studia con Giovanni Bellini e forse conosce Leonardo quando passa da Venezia nel 1500, ma sicuramente la sua non è un'istruzine artistica canonica. Anzichè andare a  bottega, frequenta i circoli umanistici veneziani e lo studio padovano.
La sua è dunque un'interpretazione colta  e meditata dell'Umanesimo veneziano, che fa perno sul rapporto tra uomo e natura ponendo l'esperienza diretta della realtà come unico strumento di conoscenza, e quindi rivalutando il ruolo dei sensi contro le strutture intellettuali. Un atteggiamento filosofico che può nascere dal particolare contesto socioculturale della Venezia di inizio secolo, una città ricca, colta e raffinata, che ha mire pragmatiche - in particolare il progressivo estendersi del suo campo d'azione commerciale - e non sta vivendo nè le turbolenze politiche di Firenze nè il sogno imperiale di Roma. Il suo declino economico causato dall'apertura delle rotte atlantiche e dal riposizionamento europeo dei centri di potere economico non si è ancora profilato all'orizzonte, e intanto la città lagunare gode della propria vivace prosperità. Sviluppa così un atteggiamento filosofico e artistico che coniuga il classicismo sensuale dell'arte ellenistica, collezionata dall'aristocrazia, e un atteggiamento verso la natura, la luce e il colore assolutamente innovativo.
Il Giorgione, in particolare, è forse il primo pittore che abbandona l'ossessione rinascimentale per il disegno preparatorio e lavora direttamente con il colore (come dimostra anche l'analisi dei suoi quadri ai raggi x). La sua pittura verrà infatti definita "tonale" da "tono", che è il grado di luminosità di un colore, cioè la sua capacità di riflettere la luce. Nel concreto, questo significa che al riempimento di un disegno si preferisce un accordo armonioso di zone di colore in stretto rapporto fra loro, fuse dalla luce pomeridiana.
Delle poche opere sicuramente attribuibili al Giorgione, uno stupendo esempio di questa impostazione innovativa è la Madonna in trono fra san Liberale e san Francesco, del 1505, che coniuga il tema classico della Madonna in trono con un'attenzione nuova verso il paesaggio. L'accattivante semplicità visiva e insieme il complesso sistema di significati sono una costante di tutte le opere dell'artista, così come l'importanza dell'elemento naturalistico. Lo possiamo riscontrare in altre due opere celeberrime, I tre filosofi, in cui i personaggi sono immersi nella natura, e la Tempesta, in cui la natura stessa prende il sopravvento sulle figure.
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 Queste opere testimoniano anche due altri problemi che la critica incontra col Giorgione: l'interpretazione e l'attribuzione. I tre filosofi, per esempio, sono diventati di volta in volta le tre età dell'uomo o le tre epoche della filosofia, le tre fasi dell'esperienza o i tre re Magi. Certo è che ogni composizione è frutto delle riflessioni sul bello, l'amore, la natura, con echi della filosofia antica e della poesia petrarchesca, ma anche delle disqiusizioni con la cerchia di letterati, filosofi e colti committenti che gira intorno al pittore. Quei committenti privati che possono comprare un quadro dal maestro per metterselo in casa, come testimoniano le dimensioni ridotte delle tele giorgionesche, che raramente superano il metro d'altezza.
Per quanto rigurda l'attribuzione, è difficile stabilire quanto sia frutto del giovane maestro e quanto del suo geniale allievo, l'enerco "montanaro" (è nato infatti intorno al 1490 a Pieve di Cadore) Tiziano Vecellio, che porta a termine molte opere di Giorgione, sia durante l'apprendistato sia dopo la sua improvvisa morte. Per esempio, nella Venere di Dresda pare che la dea dormiente sia di Giorgione, mentre il paesaggio di Tiziano. Un lavoro a due mani doveva essere anche l'ultima fatica del maestro, gli affreschi per la facciata del Fondaco dei Tedeschi a Venezia. Purtroppo non ne è rimasto quasi nulla, ed è un peccato perchè quest'opera avrebbe potuto essere illuminante sul rapporto tra questi due artisti dal carattere tanto diverso.
Lo vediamo già nei Miracoli di sant'Antonio per la padovana Scuola del Santo (1511). Nell'episodio del marito geloso si racconta di quando sant'Antonio interviene in una lite famigliare che sta per sfociare in un assassinio. Un marito, convinto che la sua innocente moglie lo tradisca, sta infatti per pugnalarla quando il santo la ferma e lo porta a riconoscere il proprio errore. La sequenza, però, è impostata in modo da dare il massimo rilievo al tentato omicidio -l'uomo alza il pugnale sulla donna che tiene ferma per i capelli, mentre lei solleva un braccio per difendersi, un'espressone di terrore disperato sul viso - e da confinare in un angolo dello sfondo di contributo pacificatore del santo. L'intenzione del pittore è quella di suscitare la commozione  l'indignazione dello spettatore calamitandone lo sguardo sull'azione in primo piano, che viene sottolineata visivamente dai colori accesi del vestito bianco e rosso di lui e dal drappeggio stravolto della gonna gialla di lei, ma anche dal braccio alzato, che sembra proseguire la linea diagonale tracciata dal pugnale.
Il successivo L'Amor sacro e l'Amor profano (1515 circa) ritorna alla lezione giorgionesca, alla tranquilla compostezza dei soggetti, ai colori caldi, persino all'ermeticità dei significati. Il titolo è infatti un'invenzione seicentesca, ma il soggetto è stato via via interpretato come la bellezza ornata e quella disadorna, celeste e terrestre, cristiana e pagana. E sull'ossimoro, cioè sulla compresenza dei contrari, è giocato tutto il dipinto, come il sarcofago simbolo di morte che è diventato una fontana simbolo di vita.
La carriera di Tiziano decolla quando l'artista realizza l'Assunta per la chiesa veneziana di Santa Maria Gloriosa dei Frari, tra il 1516 e il 1518. Per questa tavola a olio alta quasi sette metri, da posizionare come pala dell'altare maggiore, Tiziano abbandona l'intimismo giogionesco a favore di una macchina scenica paragonabile a quella della Trasfigurazione di Raffaello. Il dipinto di Raffaello è costruito con una sequenza logica che va dall'ossesso guarito allo stupore dei presenti all'apoteosi di Cristo, con razionalità che già prelude, oltre al Classicismo, al Manierismo; nella pala di Tiziano, invee, il miracolo è emotivo e illogico, basti pensare che la nuvola che sostiene la Madonna è un diaframma fisico tra la divinità e i fedeli, tanto concreto da proiettare un cono d'ombra sotto di sè.
Altrettanto forte per impatto visivo è la Sacra conversazione con la famiglia Pesaro, la cosiddetta Pala Pesaro, dipinta tra il 1519 e il 1526 per la famiglia di Jacopo, che ha sconfitto i turchi a Santa Maura. L'impostazione è monumentale, l'intento quello di celebrare la potenza di Venezia , attraverso la vittoriosa impresa di un cittadino illustre, eppure i ritratti dei committenti sono realistici. Tiziano acquisisce col tempo un'enorme fama come ritrattista, tanto che riceve commissioni da tutta Europa. Dipinte, tra i tanti, i duchi di Urbino (ora agli Uffizzi), Carlo V (al Prado) e Francesco I (al Louvre), ma anche il famosissimo ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (1546) e il Ritratto del cardinale Alessandro Farnese.
Nell'evoluzione del suo cammino artistico, Tiziano passa da una vivace orchestrazione del colore, con campi più ampi e distesi di quelli giorgioneschi, a una riflessione intima e drammatica della realtà. L'impatto emotivo è sempre forte, ma si accentua il sentimento. Il Cristo coronato di spine del 1576 è tutto giocato sui bruni e i rossi delle fiamme. Il disegno non è più netto, ma le figure sembrano sciogliersi nel movimento, nella passione. Con Tiziano è infatti impossibile guardare con occhio sereno alla realtà: ciò che succede nel quadro tocca le corde più intime dello spettatore, lo indigna, lo commuove, comunque lo cattura. Ed è questo, più che il suo splendido senso del colore, a dargli gloria nella sua epoca e a farne un pioniere di tutto il periodo successivo.
Via via che lavora, la fama di Tiziano si fa sempre più vasta. Non vuole lasciare Venezia, di cui è il pittore ufficiale, però lavora anche per Ferrara, Padova, Brescia, per i duchi di Urbino e i Gonzaga.
 Nel 1545 è a Roma, ma non vi si ferma: nella sua città vive già nel massimo splendore. I reali di tutta Europa fanno a gara per farsi ritrarre da lui e lo pagano sontuosamente; l'imperatore Carlo V lo nomina conte palatino e fornisce una dote cospicua a sua figlia Lavinia, mentre Enrico III lo visita personalmente.
Quando nel 1576 una nuova ondata di peste ruba l'anziano artista a Venezia, la Repubblica lo fa seppellire con i più alti onori nella chiesa dei Frari, nonostante ci sia una legge che proibisce di seppellire gli appestati nelle chiese. Ma Tiziano non è solo un uomo, è il prestigio della Serenissima personificato.




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