mercoledì 17 febbraio 2016

-SFORZA-storia di #Milano

Fasto e tragedie del Ducato Sforzesco
Francesco Sforza Duca  di Milano

AGGIORNATO AL 5 MARZO2016

Le alterne vicende di Milano e del suo ducato; feste e spreco d'ingegno e di denaro, fini allo spegnersi dell'indipendenza della città lombarda, e all'avvento della dominazione Spagnola.

LA STORIA degli Sforza, Signori di Milano, comincia il 26 febbraio 1450 con un cavallo bianco e finisce il primo novembre 1535 con un mulo nero.


Sono poco pù di 85 anni, ma essi riverberano fasto e tragedie  su tutti i secoli a venire. Sul cavallo bianco cavalcava un grande condottiero, Francesco: dietro di lui centinaia e centinaia di armati si recano alla città, non guerra, ma vettovaglie e scudi d'oro. Attesi come nemici, sono accolti trionfalmente come liberatori:  cose che capitano almeno un paio di volte ogni secolo.
Giovanna  II di Napoli
Muzio Attendolo Sforza
Ma chi è questo Francesco? I Milanesi ne hanno sentito parlare da un pezzo, lo hanno avuto più volte comandante delle loro truppe, domani di quelle avversarie: è un capitano di ventura abilissimo nel vincere le battaglie e nel fiutare il vento, così da trovarsi sempre nella parte buona. Ha ereditato mestiere da Muzio Attendolo Sforza, buon condottiero anche lui, e padre di una dozzina di figli almeno; Francesco è il primo dei figli naturali avuto da Lucia Terzini, ( Lucia Terzini da Tuscina, un comune Italiano di circa 6100 abitanti, indicato come uno dei borghi più belli d'Italia ) la  concubina preferita. Vice re di Calabria a vent'anni, conquistatore di Napoli a ventitré anni in nome della regina Giovanna, Francesco Sforza passa al servizio di Filippo Maria Visconti duca di Milano in tempo per prendesi una batosta dal Carmagnola nella famosa battaglia di Maclodio.
Riproduzione della battaglia di Maclodio dal libro Tschachtlanchronik

Il voto di Filippo Maria Visconti
Ma quattro anni dopo nel (1431 )


 SI RIPIGLIA LA SUA RIVINCITA. 

Filippo si ripiglia la sua rivincita a Socina, mentre il Carmagnola viene processato e condannato per tradimento dai Veneziani.

Una fidanzata di sei anni 

Bianca Maria, figlia di Filippo
Agnese dei Maini madre di Bianca

 Le mura Romane di Milano. Porta Giovia fu una delle porte poste sul tracciato medioevale delle mura di Milano
Guerra di Lombardia, affresco nel  Palazzo Ducale
Il Ducato di Milano alla morte di Giovanni Galezzo Visconti
Filippo Maria Visconti ha una figlia di tenera età, Bianca Maria; l'astuto Francesco in cambio della vittoria se la fa promettere in sposa, dopo di chè riprende il gioco ai quattro cantoni iniziato dal Carmagnola, ossia dalla parte del nemico di Milano, i Veneziani, insieme con altri capitani d'arma, il Gonzaga, il Gattamelata, il Colleoni, mentre dalla parte dei Visconti combattono il Dal Verme e il Piccinino. Ma è una guerra sul serio, o piuttosto una sorta di torneo d'armi ove ciascuno dei condottieri cerca soltanto di conquistare fama, ricchezza e onori, con buona pace dei poveri diavoli in arme che, per un piccolo soldo, ci rimettono la vita? Certo  è che la guerra termina con un nulla di fatto, con una riconciliazione tra gli Sforza e i Visconti e con le nozze pattuite nove anni prima. Anche Filippo, d'altra parte, è tutt'altro che uno stinco di santo. Il meno che possiamo dire di lui è che fu indelicato: sposo a Beatrice di Tenda, ricchissima vedova di un altro condottiero. Facino Cane, e perciò padrone di un intero  esercito, Filippo la fece giustiziare accusandola di adulterio, insieme ad un paggio e due ancelle non meno innocenti di lei. Uomo di eccezionale talento politico, grande finanziere, Filippo Maria aveva una spiccata tendenza alla superstizione, e al sospetto; e ne divenne pazzo via via. Asserragliatosi volontariamente nel Castello visconteo, ordinò all'esercito un'ultima avventura contro la Repubblica veneziana in tempo per trovarsi gli avversari in marcia verso la città; indi spirò lasciando i milanesi sull'orlo del disastro." L'amico è spacciato; venite senza indugio;  giunto che siate qua, la metà del gioco è fatto.  Sulle prime il popolo griderà'' Viva Sant'Ambrogio e liberata! E vi manderà ambascerie; ma voi venite senza aspettare." Così scrisse in quell'anno 1447 a Francesco Sforza un suo amico fidato. Era sorta infatti alla morte di Filippo Maria Visconti,  l'Auera repubblica Ambrosiana ad  opere di un gruppo di signori  intelletuali ( un Bossi, un Cotta, un Tivulzio, un Lampugnani, un Moroni ), e la Repubblica aveva smantellato pietra per pietra il maniero di Porta Giovia, rocca della tirannide. Rimasta così senza castello, e con scarse vettovaglie  mentre l'esercito veneziano  era già in marcia per liquidare  l'inveterata  concorrente, ecco la Repubblica Ambrosiana  costretta a cercare aiuto dove e come può:  ed appellarsi proprio a Francesco Sforza che  dell'Aurea Repubblica se ne infischia  perché stà puntando alla signoria di Milano.  Sicché ripassa subito dalla parte della signoria dei veneziani.
LIBERARE O USURPARE

REPUBBLICA AMBROSIANA
Bianca Maria Sforza  1493, National Gallery of Art
Arriviamo così al cavallo bianco dell'inizio: sul quale Francesco Sforza, ex capitano dei Visconti, ex capitano dei Veneziani, ex capitano  dell'Aurea Repubblica, e di nuovo ex comandante delle truppe veneziane, compie l'ennesimo volta faccia, pianta Venezia ed entra a Milano per conto suo, distribuendo viveri e ducati d'oro per cinque giorni di fila. Dice una leggenda (e potrebbe essere vera)
si dice che da quel cavallo Francesco  non smontò nemmeno in piazza, ma vi cavalcò tutto bardato a render grazie alla Madonna sin dentro la navata del Duomo. Idi ordinò di suonare le campane a storno per due giorni e due notti di fila e vi tornò in visita ufficiale a braccio di Bianca Maria, questa volta a piedi e in pompa magna.
 Castello di Porta  Giovia, Castello Sforzesco.

Dipinto di Bonifacio Bembo, Franceso e Bianca Sforza
Auto ritratto del Filarete su di un medaglione
Vogliamo dunque chiamarlo usurpatore o liberatore? Dipende dai punti di vista. Sia come sia, eccolo dedicarsi innanzi tutto alla ricostruzione del castello di Porta Giovia: per quanto manomesso, il maniero dei Visconti rappresenta ancora un ottimo nucleo per la costruzione di un nuovo sistema difensivo. A tenere calmo il popolo stanco di guerre interne, dichiara di mettere mano ai lavori, '' non perchè niente dubitasse della fede dei cittadini, ma  solo come ornamento della città''; e, per darne la prova, apre sul muro esterno dell'edificio cordialissimi, amplissimi finestroni tutti lavorati in cotto secondo il disegno di Messere Filarete, architetto in campo. Lavora accanto al Filarete, Bonifacio Bembo per la parte residenziale e Bartolomeo Gaudio per quella di più spiccata carattere militare. Il castello di Milano si trasforma da Visconteo in Sforzesco con abbondaza di spazio, di lusso e di pitture: fra pochi anni sarà la meraviglia del Ducato.


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Piero il Pollaiolo (1441-1449) ritratto di Galeazzo Maria Sforza. Uffizi Firenze
Le manie di Galezzo




Mentre si portano avanti i lavori del Castello, Francesco e Bianca Maria, vivono come Visconti nel Palazzo dell'Arengo accanto al Duomo, circondati stuoli di servetti, dignitari e dispensieri: un insieme che raggiunge la popolazione di una piccola città. Ne è giunto fino a a noi l'elenco, 174 sono i camerieri, cameriere e inservienti di vario grado, 25 gli stalieri, 8 i cocchieri, 6 i cuochi, più di 71ragazzi e sguatteri, un cantiniere, un addetto ai muli, un numero imprecisato di credenzieri; 18 maggiordomi, il Gran Seniscalco, il regista della mensa ducale e dei sevizi; per le partite di caccia 22 falconieri e tre intendenti agli sparvieri; per la salute dell'anima e del corpo, 2 medici, uno speziere, un Cappellano, musici e cantori per la Messa in Cappella e per le stornellate amorose ai banchetti; per la consorte legittima, 4 dame di palazzo e 16 damigelle; altre 45 persone per l'ala della Corte riservata al primo genito Galeazzo Maria; e 7 donne e 19 uomini all'educazione dell'erede e dei fratelli e sorelle... tutta questa gente, o quasi tutta, alloggiata  e mantenuta fra le mura di corte, insieme  con  un altro centinaio d'altri personaggi addetti ai mestieri della vita quotidiana: fornai, barbieri, sarti, calzolai, falegnami, maniscalchi.










 

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